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Morire a 13 anni per una stufa

marzo 13, 2010

Un bambino kosovaro - Foto da images.lightstalkers.org

Enea Emil aveva 13 anni. Solo 13 anni. È morto la scorsa notte, per l’incendio divampato poco prima delle tre del mattino nella sua baracca. Enea è rimasto intrappolato, dopo l’inizio del rogo. Non è riuscito a scappare, le fiamme lo hanno avvolto e per lui non c’è stato scampo. Con lui, alcuni parenti, che però sono rimasti feriti in modo lieve e sono stati curati all’Ospedale Niguarda.
È successo in un campo rom di 25 baracche, in via Caio Mario (guarda le immagini 12). Enea e i suoi erano accampati in un’area verde che c’è vicino ad un altro accampamento, in via Novara. Quest’ultimo è uno dei 12 campi regolari presenti nell’area milanese, che per legge sono sottoposti a verifiche periodiche da parte delle autorità. Negli insediamenti autorizzati sono disponibili gli allacciamenti del gas, dell’acqua e dell’elettricità. Diversa invece è la situazione nei campi irregolari, come appunto quello di via Caio Mario. In questi non ci sono le minime condizioni di sicurezza. Elettricità e acqua si reperiscono come si può e ci si riscalda usando vecchie stufe, usando le bombole di gasolio o la legna. E proprio da una vecchia stufa a legna sembra essere divampato l’incendio, che ha coinvolto la casupola dove Enea e i suoi stavano dormendo.
Ma chi sono i rom che abitano nei campi? «Quelle che un tempo erano chiamate comunità nomadi sono quasi scomparse, eccetto alcuni gruppi italiani dei sinti giostrai, dei Camminanti siciliani e dei rom Kalderasha», spiega Massimo Converso, presidente Nazionale dell’ Opera Nomadi. «La maggior parte sono gruppi rom provenienti dai Paesi dell’Est, abituati a vivere in casa fin dalla fine degli anni ’40 perché il socialismo reale applicò gli stessi diritti a tutti i cittadini, e fra questi diritti c’era anche quello di avere un’abitazione». La conseguenza: molti di coloro che oggi vivono nei campi non conoscono le regole base del nomadismo. «Gli incidenti accadono proprio per queste ragioni. Un vero nomade non dorme mai con fonti di fuoco accanto al proprio letto e tantomeno all’interno dell’abitazione. Ma i rom romeni e jugoslavi non sono abituati», aggiunge il presidente dell’organizzazione.
Dito puntato contro la giunta di Palazzo Marino e il vice sindaco Riccardo De Corato. L’amministrazione negli ultimi mesi ha intensificato sempre più le procedure di sgombero nell’area urbana meneghina: le operazioni hanno superato quota 200 (qui la cronaca di una delle ultime operazioni, che ha coinvolto più di 200 rom). Per questo, Opera Nomadi e Cgil hanno annunciato una manifestazione di piazza per lunedì prossimo. «Quello di Enea Emil è un vero e proprio omicidio bianco», sostiene Converso. Ma c’è un’alternativa agli sgomberi? «Bisognerebbe seguire la linea individuata dagli stessi nomadi: la delocalizzazione in case ad affitto agevolato. In Italia la maggior parte dei rom che provengono dai Balcani vive in case popolari, in affitto o in abitazioni auto-costruite e abusive. Molti svolgono attività edilizia, bracciantato o sono musicisti di strada che non fanno male a nessuno. Di questo, però, non si parla mai».
Sì, non se ne parla mai. Solo quando muore un bambino, come Enea Emil.

Sgomberi tre per due

gennaio 29, 2010

Foto Ansa

Tre per due. Qui a Milano, tra ieri e oggi ben tre sono state le operazioni di sgombero di baraccopoli abusive popolate da rom. Ieri, 28 gennaio, i settori Nttp, Problemi del Territorio e Zona 8 della Polizia locale sono intervenuti in via Cristina di Belgioioso. Accanto alla cinta muraria del carcere di Bollate. Sessanta i rom sgomberati, che all’arrivo delle forze dell’ordine si sono allontanati spontaneamente: del resto, non era il primo sopralluogo fatto in zona, dopo la denuncia sporta da un privato. Nonostante ciò, sono stati indentificati e denunciati per occupazione abusiva.

Stamattina le operazioni, più o meno contemporanee, sono state in via Giambellino e via Molinetto di Lorenteggio. Gi occupanti erano, anche oggi, una sessantina in 65 baracche: solo una donna ha accettato, per sè e per i figli, il ricovero nella struttura comunale di viale Ortles.

In 48 ore, quindi, altre 120 persone si sono ritrovate senza sapere dove andare. E’ vero, si tratta di abusivi. Occupanti, irregolari. In quelle condizioni igieniche, scarse e poco salubri, non dovrebbe vivere nessuno. Specialmente in questo periodo, quando il termometro scende sotto lo zero. Ma cosa fare? Serve davvero l’inflessibilità delle istituzioni? Il vice sindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo De Corato, a capo delle operazioni, ha dichiarato di nuovo tollerenza zero: “L’azione sarà continua e inesorabile. Milano è off-limits per i rom abusivi. Nessuno sconto”. Ma anche se si cacciano da un luogo della città, si insediano da un’altra parte. E allora forse non bisognerebbe tanto impegnarsi nel contare il numero degli sgomberi (ad oggi, siamo arrivati a quota 184, sette nel solo gennaio 2010), quanto invece cercare di trovare delle vere soluzioni al problema. Un ricovero permanente, un sostegno a chi lavora. Un aiuto alle donne e ai bambini. Sì, ai bambini. Perchè quei bambini spesso frequentano le nostre scuole, spesso mangiano una merendina, durante la ricreazione, accanto ai nostri figli. E allora, come si fa a voltarsi dall’altra parte?